Kyaikmayaw, Chaungson, Paung, Beelin et Thaton. Novae ecclesialis com-
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a separação entre irmãos pertencentes à mesma nação, por causa de ideolo-
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questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a
cuore l'unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione
interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo
sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - per l'ecumenismo
- è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti
coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli
uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di
Dio, verso la fonte della Luce - è questo il dialogo interreligioso. Chi an-
nuncia Dio come Amore « sino alla fine » deve dare la testimonianza dell'a-
more: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l'odio e l'inimicizia - è la
dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell'Enciclica Deus
caritas est.
Se dunque l'impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l'amore nel
mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera
priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e
medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un
grande chiasso, trasformandosi proprio cosı̀ nel contrario di una riconcilia-
zione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è
veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che « ha
qualche cosa contro di te » 4 e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche
la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro
eventuali aderenti - per quanto possibile - nelle grandi forze che plasmano
la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può
essere totalmente errato l'impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di
restringimenti, cosı̀ da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per
l'insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno
di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come
il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni
unilaterali e sciolto irrigidimenti cosı̀ che poi ne sono emerse forze positive per
l'insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si
trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti uni-
versitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tran-
quillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esem-
pio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l'intreccio delle loro
motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se,
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4 Cfr. Mt 5, 23 s.