Kyaikmayaw, Chaungson, Paung, Beelin et Thaton. Novae ecclesialis com-
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a separação entre irmãos pertencentes à mesma nação, por causa de ideolo-
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accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l'amore per
Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi
semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radi-
cale, dalla ricerca della riconciliazione e dell'unità? Che ne sarà poi? Certa-
mente, da molto tempo e poi di nuovo in quest'occasione concreta abbiamo
sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate - superbia e
saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo
aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di
gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un'apertura dei cuori. Ma non
dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consa-
pevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa
che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche
di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle
strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente eccle-
siale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra
società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna
tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se
qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il
diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e
riserbo.
Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa
lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare
e commentare il brano di Gal 5, 13-15. Ho notato con sorpresa l'immediatezza
con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: « Che la libertà non
divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate
a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un
solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e
divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni
gli altri! ». Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una
delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi
aspetti può essere anche cosı̀. Ma purtroppo questo «mordere e divorare »
esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpre-
tata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati?
Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare
sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo
imparare la priorità suprema: l'amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel
Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fidu-
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