ACTA BENEDICTI PP. XVI

 consecratae eminuit haud mediocri desiderio sanctitatis. Anno MDCCLXI vota

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 Acta Benedicti Pp. XVI 793

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 Acta Benedicti Pp. XVI 797

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 Acta Benedicti Pp. XVI 801

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 Acta Benedicti Pp. XVI 803

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale804

 Acta Benedicti Pp. XVI 805

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale806

 Acta Benedicti Pp. XVI 807

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale808

 Acta Benedicti Pp. XVI 809

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale810

 Acta Benedicti Pp. XVI 811

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale812

 Acta Benedicti Pp. XVI 813

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 Acta Benedicti Pp. XVI 815

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale816

 Acta Benedicti Pp. XVI 817

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale818

 Acta Benedicti Pp. XVI 819

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale820

 Congregatio pro Episcopis 821

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 Congregatio pro Episcopis 823

 Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale824

 Congregatio pro Gentium Evangelizatione 825

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 Congregatio pro Gentium Evangelizatione 827

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 die 28 Augusti. - Exc.mum R.P. Fridericum Rubwejanga, Episcopum

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 Diarium Romanae Curiae 831

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Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale796

mento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione litur-

gica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebra-

zione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall'Arcivescovo

Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le

ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in pro-

fondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante

del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano

tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo

avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle

prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un'au-

torizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a

deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza,

perché ho vissuto anch'io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E

ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitra-

rie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della

Chiesa.

Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu

Proprio «Ecclesia Dei » del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l'uso del

Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva

appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le « giuste

aspirazioni » di quei fedeli che richiedevano quest'uso del Rito Romano. In

quel momento il Papa voleva, cosı̀, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio

X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire

una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazio-

ne finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con

gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece,

la questione dell'uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i

quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi,

in questi casi, temevano che l'autorità del Concilio fosse messa in dubbio.

Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell'uso

del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta

con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone

scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una

forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della

Santissima Eucaristia. Cosı̀ è sorto un bisogno di un regolamento giuridico

più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile;