Anno mdcccxl missionariam eam in Foederatas Civitates Americae Septen-
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Acta Benedicti Pp. XVI 43
più a quelle comuni che a quelle private, e a preoccuparsi di fare qualcosa perché
l'altro o gli altri comprendano che le loro sofferenze sono capite e accolte e che si
desidera, per quanto è possibile, di porre ad esse rimedio.
Attraverso di voi, carissimi, intendo rivolgermi anche ai vostri concittadini,
uomini e donne delle diverse confessioni cristiane, delle diverse religioni e a tutti
coloro che cercano con onestà la pace, la giustizia, la solidarietà, mediante l'ascolto
reciproco e il dialogo sincero. A tutti dico: perseverate con coraggio e fiducia! A
quanti hanno la responsabilità di guidare gli eventi, poi, chiedo sensibilità, atten-
zione e vicinanza concreta che superi calcoli e strategie, affinché si edifichino
società più giuste e più pacifiche, nel rispetto vero di ogni essere umano.
Come vi è noto, carissimi fratelli e sorelle, spero vivamente che la Prov-
videnza faccia sı̀ che le circostanze permettano un mio pellegrinaggio nella
Terra resa santa dagli avvenimenti della Storia della Salvezza. Spero cosı̀ di
poter pregare a Gerusalemme « patria del cuore di tutti i discendenti spirituali
di Abramo, che la sentono immensamente cara ».17 Sono infatti convinto che
essa può assurgere « a simbolo di incontro, di unione e di pace per tutta la
famiglia umana ».18 In attesa dell'avveramento di questo desiderio, vi inco-
raggio a proseguire sulla via della fiducia, compiendo gesti di amicizia e di
buona volontà. Alludo sia ai gesti semplici e quotidiani, già da tempo prati-
cati nelle vostre regioni da molta gente umile che ha sempre trattato con
riguardo tutte le persone, sia ai gesti in qualche modo eroici, ispirati dall'au-
tentico rispetto per la dignità umana, nel tentativo di trovare vie di uscita a
situazioni di grave conflittualità. La pace è un bene cosı̀ grande ed urgente da
giustificare sacrifici anche grandi da parte di tutti.
Come scriveva il mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II,
« non c'è pace senza giustizia ». È perciò necessario che si riconoscano ed
onorino i diritti di ciascuno. Giovanni Paolo II però aggiungeva: « non c'è
giustizia senza perdono ». Normalmente senza transigere su passati errori non
si può arrivare ad un accordo che consenta di riaprire il dialogo in vista di
future collaborazioni. Il perdono, nel caso, è condizione indispensabile per
essere liberi di progettare un nuovo futuro. Dal perdono concesso ed accolto
possono nascere e svilupparsi tante opere di solidarietà, nella linea di quelle
17 Giovanni Paolo II, Redemptionis anno, AAS LXXVI, 1984, 625. 18 Ibid., p. 629.