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Acta Francisci Pp. 47
di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali,
immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che
pensava di vivere eternamente (cfr Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si
trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di
tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal « complesso degli
Eletti », dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e
non vede l'immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei
più deboli e bisognosi.8 L'antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci
peccatori e di dire con tutto il cuore: « Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare » ( Lc 17, 10).
2. Un'altra: La malattia del « martalismo » (che viene da Marta), dell'ec-
cessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando,
inevitabilmente, « la parte migliore »: il sedersi sotto i piedi di Gesù (cfr Lc
10, 38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a « riposarsi un
po' » (cfr Mc 6, 31) perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e
all'agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria
missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere
un po' di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di
ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoelet che
« c'è un tempo per ogni cosa » (3, 1-15).
3. C'è anche la malattia dell'« impietrimento » mentale e spirituale: ossia
di coloro che posseggono un cuore di pietra e un « duro collo » ( At 7, 51-60);
di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e
l'audacia e si nascondono sotto le carte diventando « macchine di pratiche »
e non « uomini di Dio » (cfr Eb 3, 12). È pericoloso perdere la sensibilità
umana necessaria per farci piangere con coloro che piangono e gioire con
coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono « i sentimenti di
Gesù » (cfr Fil 2, 5-11) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si
indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il
prossimo (cfr Mt 22, 34-40). Essere cristiano, infatti, significa « avere gli
stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù » ( Fil 2, 5), sentimenti di umiltà
e di donazione, di distacco e di generosità.9
8 Cfr Evangelii gaudium, 197-201. 9 BeneDetto XVI, Udienza Generale, 1 Giugno 2005.