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Acta Francisci Pp. 483
Le stagioni che abbiamo lasciato alle spalle, l'800 e soprattutto il '900,
sono state caratterizzate da ardue battaglie, sia culturali sia politiche, in
nome della solidarietà e dei diritti, e questa è stata cosa buona - si pensi
alla storia del movimento sindacale e alla lotta per la conquista dei diritti
civili e sociali - lotte comunque ben lontane dall'essere concluse. Ciò che
è più inquietante oggi è l'esclusione e la marginalizzazione dei più da una
partecipazione equa nella distribuzione su scala nazionale e planetaria dei
beni sia di mercato sia di non-mercato, come la dignità, la libertà, la cono- scenza, l'appartenenza, l'integrazione, la pace. A tale riguardo quello che fa
soffrire di più le persone e porta alla ribellione dei cittadini è il contrasto
fra l'attribuzione teorica di eguali diritti per tutti e la distribuzione diseguale
e iniqua dei beni fondamentali per la maggior parte delle persone. Anche se viviamo in un mondo in cui la ricchezza abbonda, moltissime persone sono ancora vittime della povertà e dell'esclusione sociale. Le diseguaglianze - insieme alle guerre di predominio e ai cambiamenti climatici - sono le cause della più grande migrazione forzata nella storia, che colpisce oltre 65 milioni di essere umani. Si pensi anche al dramma crescente delle nuove schiavitù nelle forme del lavoro forzato, della prostituzione, del traffico di organi, che sono veri crimini contro l'umanità. È allarmante e sintomatico che oggi il corpo umano si compri e si venda, come fosse una merce di scambio. Quasi cent'anni fa, Pio XI prevedeva l'affermarsi di queste diseguaglianze e iniquità come conseguenza di una dittatura economica globale che chiamò « imperia- lismo internazionale del denaro » (Enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, 109). E fu Paolo VI che denunciò, quasi cinquant'anni dopo, la « nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico » (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 44).
Il punto è che una società partecipativa non può accontentarsi dell'oriz- zonte della pura solidarietà e dell'assistenzialismo, perché una società che fosse solo solidale e assistenziale, e non anche fraterna, sarebbe una società
di persone infelici e disperate dalla quale ognuno cercherebbe di fuggire,
in casi estremi anche con il suicidio. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve la vera fraternità;
non è cioè capace di progredire quella società in cui esiste solamente il
"dare per avere" oppure il "dare per dovere". Ecco perché, né la visione
liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la vi- sione stato-centrica della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità, sono guide sicure per farci superare quella diseguaglianza, inequità ed esclusione