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in cui le nostre società sono oggi impantanate. Si tratta di cercare una via
d'uscita dalla soffocante alternativa tra la tesi neoliberista e quella tesi neo- statalista. Infatti, proprio perché l'attività dei mercati e la manipolazione
della natura - entrambe mosse dall'egoismo, dall'avidità, dal materialismo
e dalla concorrenza sleale - alle volte non conoscono limiti, è urgente
intervenire sulle cause di tali malfunzionamenti, soprattutto in ambito fi- nanziario, piuttosto che limitarsi a correggerne gli effetti.
2. Un secondo aspetto desidero toccare, vale a dire il concetto di sviluppo
umano integrale. Battersi per lo sviluppo integrale vuol dire impegnarsi per
l'allargamento dello spazio di dignità e di libertà delle persone: libertà intesa,
però, non solo in senso negativo come assenza di impedimenti, e neppure solo
in senso positivo come possibilità di scelta. Bisogna aggiungervi la libertà " per", cioè la libertà di perseguire la propria vocazione di bene sia personale sia sociale. L'idea-chiave è che la libertà va di pari passo con la responsabilità di proteggere il bene comune e promuovere la dignità, la libertà e il benessere degli altri, tanto da raggiungere i poveri, gli esclusi e le generazioni future. È questa prospettiva che, nelle condizioni storiche attuali, se permette di superare sterili diatribe a livello culturale e dannose contrapposizioni a livello politico, permetterebbe di trovare il consenso necessario per nuove progettualità.
È all'interno di questo contesto che si pone la questione del lavoro. I limiti dell'attuale cultura del lavoro sono ormai divenuti evidenti ai più, anche se non c'è convergenza di vedute sulla via da percorrere per giungere al loro superamento. La via indicata dalla DSC inizia dalla presa d'atto che il lavoro, prima ancora che un diritto, è una capacità e un bisogno insopprimibile della
persona. È la capacità dell'essere umano di trasformare la realtà per parteci- pare all'opera di creazione e conservazione operata da Dio, e, così facendo, di edificare se stesso. Riconoscere che il lavoro è una capacità innata e un bisogno fondamentale è un'affermazione assai più forte che dire che esso è un
diritto. E ciò perché, come la storia insegna, i diritti possono essere sospesi
o addirittura negati; le capacità, le attitudini e i bisogni, se fondamentali, no.
A questo proposito ci si può riferire alla riflessione classica, da Aristotele
a Tommaso d'Aquino, sull' agire. Tale pensiero distingue due forme di attività: il fare transitivo e l' agire immanente. Mentre il primo connota l'azione che
produce un'opera al di fuori di chi agisce, la seconda fa riferimento ad un
agire che ha il suo termine ultimo nel soggetto stesso che agisce. Il primo cambia la realtà in cui l'agente vive; il secondo cambia l'agente stesso.
Ora, poiché nell'uomo non esiste un'attività talmente transitiva da non