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Acta Benedicti Pp. XVI 261
ALLOCUTIONES
I
Dum convenit parochos et presbyteros Romae degentes.*
Eminenza,
Eccellenze e cari fratelli,
È per me una grande gioia essere ogni anno, all'inizio della Quaresima, con
voi - il Clero di Roma - e cominciare con voi il cammino pasquale della
Chiesa. Vorrei ringraziare Sua Eminenza per le belle parole che mi ha donato,
ringraziare voi tutti per il lavoro che fate per questa Chiesa di Roma, che
- secondo sant'Ignazio - presiede la carità, e dovrebbe essere sempre anche
esemplare nella sua fede. Facciamo insieme tutto il possibile perché questa
Chiesa di Roma risponda alla sua vocazione e perché noi, in questa « Vigna del
Signore », siamo lavoratori fedeli.
Abbiamo ascoltato questo brano degli Atti degli Apostoli,1 nel quale san
Paolo parla ai presbiteri di Efeso, raccontato volutamente da san Luca come
testamento dell'Apostolo, come discorso destinato non solo ai presbiteri di
Efeso, ma ai presbiteri di ogni tempo. San Paolo parla non solo con coloro che
erano presenti in quel luogo, egli parla realmente con noi. Cerchiamo quindi
di capire un po' quanto dice a noi, in quest'ora.
Comincio: « Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo
tempo » 2 e su questo suo comportamento per tutto il tempo, san Paolo dice,
alla fine, che « notte e giorno, io non ho cessato... di ammonire ciascuno di
voi ».3 Ciò vuol dire: in tutto questo tempo egli era annunciatore, messaggero,
ambasciatore di Cristo per loro; era sacerdote per loro. In un certo senso, si
potrebbe dire che era un prete lavoratore, perché - come dice anche in
questo brano - egli ha lavorato con le sue mani come tessitore di tende per
non pesare sui loro beni, per essere libero, per lasciarli liberi. Ma benché
avesse lavorato con le sue mani, tuttavia in tutto questo tempo egli era
sacerdote, per tutto il tempo egli ha ammonito. In altre parole, anche se
* Die 11 Martii 2011. 1 20, 17-38. 2 V. 18. 3 V. 31.