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La miseria di cui parliamo è la miseria morale, non trasferibile, quella
per cui uno prende coscienza di sé stesso come persona che, in un momento
decisivo della sua vita, ha agito di propria iniziativa: ha fatto una scelta e
ha scelto male. Questo è il fondo che bisogna toccare per sentire dolore per
i peccati e pentirsi veramente. Perché in altri ambiti uno non si sente così
libero, né sente che il peccato influisce negativamente su tutta la sua vita
e pertanto non sperimenta la propria miseria, e in questo modo si perde
la misericordia, che agisce solo a tale condizione. Uno non va in farmacia
e dice: « Per misericordia, mi dia un'aspirina ». Per misericordia chiede che
gli diano della morfina per una persona in preda ai dolori atroci di una
malattia terminale. O tutto o niente. Si va in fondo o non si capisce nulla.
Il cuore che Dio unisce a questa nostra miseria morale è il Cuore di
Cristo, suo Figlio amato, che batte come un solo cuore con quello del Pa-
dre e dello Spirito. Ricordo quando Pio XII ha fatto l'Enciclica sul Sacro
Cuore, ricordo che qualcuno diceva: « Perché un'Enciclica su questo? Sono
cose da suore… ». È il centro, il Cuore di Cristo, è il centro della miseri-
cordia. Forse le suore capiscono meglio di noi, perché sono madri nella
Chiesa, sono icone della Chiesa, della Madonna. Ma il centro è il cuore di
Cristo. Ci farà bene questa settimana o domani leggere Haurietis aquas…
« Ma è preconciliare! » - Sì, ma fa bene! Si può leggere, ci farà molto
bene! Il cuore che Dio unisce a questa nostra miseria morale è il cuore
di Cristo, suo Figlio amato, che batte come un solo cuore con quello del
Padre e dello Spirito. È un cuore che sceglie la strada più vicina e che
lo impegna. Questo è proprio della misericordia, che si sporca le mani,
tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l'altro, si rivolge a ciò che
è personale con ciò che è più personale, non « si occupa di un caso » ma
si impegna con una persona, con la sua ferita. Guardiamo al nostro lin-
guaggio. Quante volte, senza accorgerci, ci viene da dire: « Ho un caso… ».
Fermati! Di' piuttosto: « Ho una persona che… ». Questo è molto clericale:
« Ho un caso… », « ho trovato un caso… ». Anche a me viene spesso. C'è un
po' di clericalismo: ridurre la concretezza dell'amore di Dio, di quello che
ci dà Dio, della persona, a un « caso ». E così mi distacco e non mi tocca.
E così non mi sporco le mani; e così faccio una pastorale pulita, elegante,
dove non rischio niente. E pure dove - non scandalizzatevi! - non ho la
possibilità di un peccato vergognoso. La misericordia va oltre la giustizia
e lo fa sapere e lo fa sentire; si resta coinvolti l'uno con l'altro. Conferen-