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l'ultima raccomandazione, il « non peccare più ». E utilizza questa frase per
« difendere » Gesù e che non rimanga il fatto che si è scavalcata la legge.
Penso che le parole che usa il Signore sono tutt'uno con le sue azioni. Il
fatto di chinarsi a scrivere per terra due volte, creando una pausa prima
di ciò che dice a quelli che vogliono lapidare la donna e, prima di ciò che
dice a lei, ci parla di un tempo che il Signore si prende per giudicare e
perdonare. Un tempo che rimanda ciascuno alla propria interiorità e fa sì
che quelli che giudicano si ritirino.
Nel suo dialogo con la donna il Signore apre altri spazi: uno è lo spazio
della non condanna. Il Vangelo insiste su questo spazio che è rimasto libero.
Ci colloca nello sguardo di Gesù e ci dice che « non vede nessuno intorno
ma solo la donna ». E poi Gesù stesso fa guardare intorno la donna con la
domanda: « Dove sono quelli che ti classificavano? » (la parola è importante,
perché dice di ciò che tanto rifiutiamo come il fatto che ci etichettino e ci
facciano una caricatura…). Una volta che la fa guardare quello spazio libero
dal giudizio altrui, le dice che nemmeno lui lo invade con le sue pietre:
« Neanch'io ti condanno ». E in quel momento stesso le apre un altro spazio
libero: « Va' e d'ora in poi non peccare più ». Il comandamento si dà per
l'avvenire, per aiutare ad andare, per « camminare nell'amore ». Questa è la
delicatezza della misericordia che guarda con pietà il passato e incoraggia
per il futuro. Questo « non peccare più » non è qualcosa di ovvio. Il Signore
lo dice « insieme con lei », la aiuta ad esprimere in parole ciò che lei stessa
sente, quel « no » libero al peccato che è come il « sì » di Maria alla grazia.
Il « no » viene detto in relazione alla radice del peccato di ciascuno. Nella
donna si trattava di un peccato sociale, del peccato di qualcuno a cui la
gente si avvicinava o per stare con lei o per lapidarla. Non c'era un altro
tipo di vicinanza con questa donna. Perciò il Signore non solo le sgombra
la strada ma la pone in cammino, perché smetta di essere « oggetto » dello
sguardo altrui, perché sia protagonista. Il « non peccare » non si riferisce
solo all'aspetto morale, io credo, ma a un tipo di peccato che non la lascia
fare la sua vita. Anche al paralitico di Betzatà Gesù dice: « Non peccare
più »;8 ma costui, che si giustificava per le cose tristi che gli succedevano,
che aveva una psicologia da vittima - la donna no -, lo punge un po' con
quel « perché non ti accada qualcosa di peggio ». Il Signore approfitta del
8 Gv 5, 14.