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diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudi-
zio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell'intimo. Quanto
male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia!
Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a
compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non
giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che
di buono c'è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il
nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo
non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche
di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per
primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti,
sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande
magnanimità.
Misericordiosi come il Padre, dunque, è il « motto » dell'Anno Santo. Nella
misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per
sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro
aiuto quando lo invochiamo. È bello che la preghiera quotidiana della Chiesa
inizi con queste parole: « O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in
mio aiuto » ( Sal 70, 2). L'aiuto che invochiamo è già il primo passo della
misericordia di Dio verso di noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di
debolezza in cui viviamo. E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua
presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compas-
sione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso tutti.
15. In questo Anno Santo, potremo fare l'esperienza di aprire il cuore a
quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo
moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sof-
ferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella
carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e
spento a causa dell'indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo anco-
ra di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l'olio
della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà
e l'attenzione dovuta. Non cadiamo nell'indifferenza che umilia, nell'abitudi-
narietà che anestetizza l'animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo
che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le
ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad