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gitale: la parzialità dell'interazione, la tendenza a comunicare solo alcune
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sposi abbiano un interesse molto ridotto per problematiche riservate agli
specialisti. Dall'altra, pur non sfuggendo a nessuno la necessità delle attività
giuridiche che precedono il matrimonio, rivolte ad accertare che « nulla si
oppone alla sua celebrazione valida e lecita »,4 è diffusa la mentalità secondo
cui l'esame degli sposi, le pubblicazioni matrimoniali e gli altri mezzi oppor-
tuni per compiere le necessarie investigazioni prematrimoniali,5 tra i quali si
collocano i corsi di preparazione al matrimonio, costituirebbero degli adem-
pimenti di natura esclusivamente formale. Infatti, si ritiene spesso che, nel-
l'ammettere le coppie al matrimonio, i pastori dovrebbero procedere con
larghezza, essendo in gioco il diritto naturale delle persone a sposarsi.
È bene, in proposito, riflettere sulla dimensione giuridica del matrimonio
stesso. È un argomento a cui ho fatto cenno nel contesto di una riflessione
sulla verità del matrimonio, nella quale affermavo, tra l'altro: «Di fronte alla
relativizzazione soggettivistica e libertaria dell'esperienza sessuale, la tradi-
zione della Chiesa afferma con chiarezza l'indole naturalmente giuridica del
matrimonio, cioè la sua appartenenza per natura all'ambito della giustizia
nelle relazioni interpersonali. In quest'ottica, il diritto s'intreccia davvero con
la vita e con l'amore; come un suo intrinseco dover essere ».6 Non esiste,
pertanto, un matrimonio della vita ed un altro del diritto: non vi è che un
solo matrimonio, il quale è costitutivamente vincolo giuridico reale tra l'uo-
mo e la donna, un vincolo su cui poggia l'autentica dinamica coniugale di vita
e di amore. Il matrimonio celebrato dagli sposi, quello di cui si occupa la
pastorale e quello messo a fuoco dalla dottrina canonica, sono una sola realtà
naturale e salvifica, la cui ricchezza dà certamente luogo a una varietà di
approcci, senza però che ne venga meno l'essenziale identità. L'aspetto giu-
ridico è intrinsecamente legato all'essenza del matrimonio. Ciò si comprende
alla luce di una nozione non positivistica del diritto, ma considerata nell'ot-
tica della relazionalità secondo giustizia.
Il diritto a sposarsi, o ius connubii, va visto in tale prospettiva. Non si
tratta, cioè, di una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori
mediante un mero riconoscimento formale, indipendentemente dal contenuto
effettivo dell'unione. Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si
possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza
cosı̀ come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una
4 CIC, can. 1066. 5 Cfr. ibid., can. 1067. 6 Allocuzione alla Rota Romana, 27 gennaio 2007, AAS 99 [2007], p. 90.