ACTA BENEDICTI PP. XVI

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dell'alleanza di Dio con il suo popolo. Nel Vangelo, Gesù riprende il cantico di

Isaia, ma lo adatta ai suoi ascoltatori e alla nuova ora della storia della

salvezza. L'accento non è tanto sulla vigna quanto piuttosto sui vignaioli,

ai quali i « servi » del padrone chiedono, a suo nome, il canone di affitto. I servi

però vengono maltrattati e persino uccisi. Come non pensare alle vicende del

popolo eletto e alla sorte riservata ai profeti inviati da Dio? Alla fine, il

proprietario della vigna compie l'ultimo tentativo: manda il proprio figlio,

convinto che ascolteranno almeno lui. Accade invece il contrario: i vignaioli lo

uccidono proprio perché è il figlio, cioè l'erede, convinti di potersi cosı̀ im-

possessare facilmente della vigna. Assistiamo pertanto ad un salto di qualità

rispetto all'accusa di violazione della giustizia sociale, quale emerge dal can-

tico di Isaia. Qui vediamo chiaramente come il disprezzo per l'ordine impar-

tito dal padrone si trasformi in disprezzo verso di lui: non è la semplice

disubbidienza ad un precetto divino, è il vero e proprio rigetto di Dio: appare

il mistero della Croce.

Quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare

e di agire. Non parla solo dell'« ora » di Cristo, del mistero della Croce in quel

momento, ma della presenza della Croce in tutti i tempi. Interpella, in modo

speciale, i popoli che hanno ricevuto l'annuncio del Vangelo. Se guardiamo la

storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di

cristiani incoerenti. In conseguenza di ciò, Dio, pur non venendo mai meno

alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. È spon-

taneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui

scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse

e sono oggi ricordate solo nei libri di storia. Non potrebbe avvenire la stessa

cosa in questa nostra epoca? Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni

ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l'influenza deleteria e distrut-

tiva di una certa cultura moderna. Vi è chi, avendo deciso che « Dio è morto »,

dichiara « dio » se stesso, ritenendosi l'unico artefice del proprio destino, il

proprietario assoluto del mondo. Sbarazzandosi di Dio e non attendendo da

Lui la salvezza, l'uomo crede di poter fare ciò che gli piace e di potersi porre

come sola misura di se stesso e del proprio agire. Ma quando l'uomo elimina

Dio dal proprio orizzonte, dichiara Dio « morto », è veramente più felice?

Diventa veramente più libero? Quando gli uomini si proclamano proprietari

assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire

una società dove regnino la libertà, la giustizia e la pace? Non avviene piut-

tosto - come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente - che si estendano

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