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Postquam « bonum certamen certavit et cursum consummavit » (cfr 2 Tim
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evangelica. Ha giustamente osservato Paolo VI: « L'uomo contemporaneo
ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa
perché sono dei testimoni ».32 Perché non nasca un vuoto esistenziale in noi e
non sia compromessa l'efficacia del nostro ministero, occorre che ci interro-
ghiamo sempre di nuovo: « Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È
vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano il pane e le
cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo
interiormente di questa Parola al punto che essa realmente dia un'impronta
alla nostra vita e formi il nostro pensiero? ».33 Come Gesù chiamò i Dodici
perché stessero con Lui (cfr. Mc 3, 14) e solo dopo li mandò a predicare, cosı̀
anche ai giorni nostri i sacerdoti sono chiamati ad assimilare quel « nuovo stile
di vita » che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli
Apostoli.34
Fu proprio l'adesione senza riserve a questo « nuovo stile di vita » che
caratterizzò l'impegno ministeriale del Curato d'Ars. Il Papa Giovanni
XXIII nella Lettera enciclica Sacerdotii nostri primordia, pubblicata nel
1959, primo centenario della morte di san Giovanni Maria Vianney, ne pre-
sentava la fisionomia ascetica con particolare riferimento al tema dei « tre
consigli evangelici », giudicati necessari anche per i presbiteri: « Se, per rag-
giungere questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è impo-
sta al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui,
come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione
cristiana ».35 Il Curato d'Ars seppe vivere i « consigli evangelici » nelle modalità
adatte alla sua condizione di presbitero. La sua povertà, infatti, non fu quella
di un religioso o di un monaco, ma quella richiesta ad un prete: pur maneg-
giando molto denaro (dato che i pellegrini più facoltosi non mancavano di
interessarsi alle sue opere di carità), egli sapeva che tutto era donato alla sua
chiesa, ai suoi poveri, ai suoi orfanelli, alle ragazze della sua «Providence »,36
alle sue famiglie più disagiate. Perciò egli « era ricco per dare agli altri ed era
molto povero per se stesso ».37 Spiegava: « Il mio segreto è semplice: dare tutto
e non conservare niente ».38 Quando si trovava con le mani vuote, ai poveri
32 Evangelii nuntiandi, 41. 33 Benedetto XVI, Omelia nella Messa del S. Crisma, 9-4-2009. 34 Cfr. Benedetto XVI, Discorso all'Assemblea plenaria della Congregazione del Clero, 16-3-2009. 35 P.I. 36 Nome che diede alla casa dove fece accogliere e educare più di 60 ragazze abbandonate.
Per mantenerla era disposto a tutto: "J'ai fait tous les commerces imaginables", diceva sorri-
dendo (Nodet, p. 214). 37 Nodet, p. 216. 38 Ibid., p. 215.