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piene di crepe, che non trattengono l'acqua. […] Ma tu rispondi: "No, è
inutile, perché io amo gli stranieri, voglio andare con loro » (2, 13.25).
Per Osea, il ricordo del Signore è quello del figlio coccolato e ingrato:
« Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio
figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; […] agli idoli bru-
ciavano incensi. A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano,
ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di
bontà, con vincoli d'amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua
guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. […] Il mio popolo è
duro a convertirsi » (11, 1-4.7). Oggi come allora, l'infedeltà e l'ingratitudine
dei pastori si ripercuote sui più poveri del popolo fedele, che restano in
balia degli estranei e degli idolatri.
Speranza non solo nel futuro
La fede si sostiene e progredisce grazie alla speranza. La speranza è
l'ancora ancorata nel Cielo, nel futuro trascendente, di cui il futuro tempo-
rale - considerato in forma lineare - è solo una espressione. La speranza è
ciò che dinamizza lo sguardo all'indietro della fede, che conduce a trovare
cose nuove nel passato - nei tesori della memoria - perché si incontra con
lo stesso Dio che spera di vedere nel futuro. La speranza inoltre si esten-
de fino ai limiti, in tutta la larghezza e in tutto lo spessore del presente
quotidiano e immediato, e vede possibilità nuove nel prossimo e in ciò che
si può fare qui, oggi. La speranza è saper vedere, nel volto dei poveri che
incontro oggi, lo stesso Signore che verrà un giorno a giudicarci secondo il
protocollo di Matteo 25: « Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (v. 40).
Così la fede progredisce esistenzialmente credendo in questo "impulso"
trascendente che si muove - che è attivo e operante - verso il futuro,
ma anche verso il passato e in tutta l'ampiezza del momento presente.
Possiamo intendere così la frase di Paolo ai Galati, quando dice che ciò
che vale è « la fede che si rende operosa per mezzo della carità » (5, 6):
una carità che, quando fa memoria, si attiva confessando, nella lode e
nella gioia, che l'amore le è stato già dato; una carità che quando guarda
in avanti e verso l'alto, confessa il suo desiderio di dilatare il cuore nella
pienezza del Bene più grande; queste due confessioni di una fede ricca
di gratitudine e di speranza, si traducono nell'azione presente: la fede