professionem. Expleto praescripto curriculo, ordinationem suscepit sacerdo-
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cezione della vita di ampi settori della società. Il passato appare, cosı̀, solo
infatti che la Chiesa possa trarre ispirazione nelle sue scelte attingendo al suo
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mi sembra forse che riusciamo un po' ad aprirci a quel Dio che solo può dare
la luce.
(Don Daniele Salera, vicario parrocchiale a Santa Maria Madre del Re-
dentore a Tor Bella Monaca, insegnante di Religione). Santità, sono don Da-
niele Salera, sacerdote da 6 anni, vicario parrocchiale a Tor Bella Monaca ed ivi
insegnante di religione. Nel leggere la vostra lettera sul compito urgente dell'edu-
cazione, ho annotato alcuni aspetti per me significativi sui quali mi piacerebbe
dialogare con voi. Anzitutto trovo importante il suo indirizzo alla diocesi e alla
città. Questa distinzione dà ragione delle diverse identità che la compongono ed
interpella, nella libertà a cui voi Santità fate cenno, anche i non credenti. Vorrei
trasmettervi in questi pochi istanti la bellezza del lavorare nella scuola con col-
leghi che per motivi vari non hanno più una fede viva o non si riconoscono più
nella Chiesa, eppure mi sono di esempio nella passione educativa e nel recupero
di adolescenti che già hanno una vita segnata dal crimine e dal degrado. Colgo in
tante persone con cui lavoro a Tor Bella Monaca una vera e propria ansia
missionaria. Per strade diverse ma convergenti lottiamo contro quella crisi di
speranza che è sempre dietro l'angolo quando ogni giorno si ha a che fare con
ragazzi che sembrano interiormente morti, senza desideri per il futuro o cosı̀
profondamente avvinti dal male da non riuscire a scorgere il bene che si vuole
loro o le occasioni di libertà e di redenzione che comunque ci sono sul loro
cammino. Di fronte ad una tale emergenza umana non c'è spazio per le divisioni,
e allora spesso mi ripeto una frase di Papa Roncalli che diceva: « Cercherò
sempre ciò che unisce, anziché ciò che divide ». Santità, questa esperienza mi
sta facendo vivere quotidianamente a contatto con ragazzi e adulti che non avrei
mai incontrato concentrandomi solo sulle attività interne alla parrocchia ed
osservo cosı̀ che è vero: tanti educatori stanno rinunciando all'etica in nome di
un'affettività che non dà certezze e crea dipendenza. Altri hanno paura di difen-
dere le regole della convivenza civile perché pensano che esse non diano ragione
dei bisogni, delle difficoltà e delle identità dei giovani. Con uno slogan, direi che a
livello educativo viviamo in una cultura del « sı̀ sempre » e « no mai ». Ma è il
« no » detto con amorevole passione per l'uomo e il suo futuro che spesso delimita
il confine tra il bene e il male; confine che nell'età evolutiva è fondamentale per la
costruzione di identità personali solide. E da una parte sono dunque convinto che
di fronte all'emergenza le diversità si attenuano, e dunque, sul piano educativo
possiamo veramente trovare un tavolo comune con chi in libertà non si dice
propriamente credente; dall'altra, mi chiedo perché noi Chiesa che tanto abbiamo
scritto, pensato e vissuto circa l'educazione come formazione al retto uso della
libertà - come voi dite - non riusciamo a far passare questo obiettivo educativo?
Perché appariamo mediamente cosı̀ poco liberati e liberanti?