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Nel Sinodo lo sguardo si è poi allargato sull'intero Medio Oriente, dove
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Congregatio de Causis Sanctorum 67
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Congregatio de Causis Sanctorum 69
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Congregatio pro Gentium Evangelizatione 73
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Congregatio pro Gentium Evangelizatione 75
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sione soggettiva, l'individuo, costituisce l'ultima istanza della decisione. Il
mondo viene diviso negli ambiti dell'oggettivo e del soggettivo. All'oggettivo
appartengono le cose che si possono calcolare e verificare mediante l'esperi-
mento. La religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono
considerate come ambito del soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima
analisi, dei criteri oggettivi. L'ultima istanza che qui può decidere sarebbe
pertanto solo il soggetto, e con la parola « coscienza » si esprime, appunto,
questo: in questo ambito può decidere solo il singolo, l'individuo con le sue
intuizioni ed esperienze. La concezione che Newman ha della coscienza è
diametralmente opposta. Per lui « coscienza » significa la capacità di verità
dell'uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua
esistenza - religione e morale - una verità, la verità. La coscienza, la
capacità dell'uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo
stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi
ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei
confronti della verità, che si mostra all'uomo che cerca col cuore aperto. Il
cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza - un
cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario,
dell'obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. La sua terza
conversione, quella al Cattolicesimo, esigeva da lui di abbandonare quasi
tutto ciò che gli era caro e prezioso: i suoi averi e la sua professione, il suo
grado accademico, i legami familiari e molti amici. La rinuncia che l'obbe-
dienza verso la verità, la sua coscienza, gli chiedeva, andava ancora oltre.
Newman era sempre stato consapevole di avere una missione per l'Inghilter-
ra. Ma nella teologia cattolica del suo tempo, la sua voce a stento poteva
essere udita. Era troppo aliena rispetto alla forma dominante del pensiero
teologico e anche della pietà. Nel gennaio del 1863 scrisse nel suo diario
queste frasi sconvolgenti: « Come protestante, la mia religione mi sembrava
misera, non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non
però la mia religione ». Non era ancora arrivata l'ora della sua efficacia.
Nell'umiltà e nel buio dell'obbedienza, egli dovette aspettare fino a che il
suo messaggio fosse utilizzato e compreso. Per poter asserire l'identità tra il
concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione sog-
gettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli
- nel caso avesse dovuto fare un brindisi - avrebbe brindato prima alla
coscienza e poi al Papa. Ma in questa affermazione, « coscienza » non significa
l'ultima obbligatorietà dell'intuizione soggettiva. È espressione dell'accessi-