do la condizione di servo ».1 Grazie all'aiuto di ottimi maestri, si pose sulle
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cano le radici di tante Istituzioni ecclesiastiche e civili, studiano la storia dei
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Acta Benedicti Pp. XVI 725
zione spirituale, mi diceva: « Lorenzino, umanamente ci siamo, ma... » e quando
diceva «ma » intendeva dire che a me piaceva più giocare al pallone che fare
l'adorazione eucaristica. E questo non faceva bene alla mia vocazione, che non era
bello contestare le lezioni di morale e di diritto, perché i professori ne sapevano
più di me. E con quel «ma » chissà cos'altro voleva intendere. Ora lo penso in
cielo e gli dico comunque qualche requiem. Malgrado tutto ciò, sono 34 anni che
sono prete e ne sono anche felice: miracoli non ne ho fatti, disastri conosciuti
nemmeno, sconosciuti forse. « Umanamente ci siamo », per me è un grande com-
plimento. Ma avvicinare l'uomo a Dio e Dio all'uomo non passa soprattutto
attraverso quanto chiamiamo umanità che è irrinunciabile, anche per noi preti?
Grazie. Direi semplicemente sı̀ a quanto Lei ha detto alla fine. Il cattoli-
cesimo, un po' semplicisticamente, è stato sempre considerato la religione del
grande et et: non di grandi esclusivismi, ma della sintesi. Cattolico vuole dire
proprio « sintesi ». Perciò sarei contro una alternativa o giocare al pallone o
studiare la Sacra Scrittura o il Diritto Canonico. Facciamo ambedue le cose.
È bello fare lo sport, io non sono un grande sportivo, ma magari andare in
montagna mi piaceva quando ero ancora più giovane, adesso faccio solo
camminate molto facili, ma sempre trovo molto bello camminare qui in que-
sta bella terra che il Signore ci ha dato. Quindi non possiamo sempre vivere
nella meditazione alta, forse un Santo nell'ultimo gradino del suo cammino
terrestre può arrivare a questo punto, ma normalmente viviamo con i piedi
per terra e gli occhi verso il cielo. Ambedue le cose ci sono date dal Signore e
quindi amare le cose umane, amare le bellezze della sua terra non solo è molto
umano, ma è anche molto cristiano e proprio cattolico. Direi che - e mi
sembra di averlo già accennato prima - ad una pastorale buona e realmente
cattolica appartiene anche questo aspetto: vivere nell'et et; vivere l'umanità e
l'umanesimo dell'uomo, tutti i doni che il Signore ci ha dato e che abbiamo
sviluppato e, nello stesso tempo, non dimenticare Dio, perché alla fine la luce
grande viene da Dio e soltanto da Lui viene poi la luce che dà gioia a tutti
questi aspetti delle cose che ci sono. Quindi vorrei semplicemente impegnarmi
per la grande sintesi cattolica, per questo « et et »; essere veramente uomo ed
ognuno secondo i suoi doni e secondo il suo carisma amare la terra e le belle
cose che il Signore ci ha dato, ma essere anche grati perché sulla terra splende
la luce di Dio, che dà splendore e bellezza a tutto il resto. Vı̀viamo in questo
senso gioiosamente la cattolicità. Questa sarebbe la mia risposta.