do la condizione di servo ».1 Grazie all'aiuto di ottimi maestri, si pose sulle
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cano le radici di tante Istituzioni ecclesiastiche e civili, studiano la storia dei
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implica sempre la dimensione umana. Il Sacramento non è mai soltanto un
atto rituale, ma l'atto rituale e sacramentale è il condensamento di un conte-
sto umano nel quale si muove il sacerdote, il parroco. Mi sembra poi molto
importante trovare dei sistemi giusti di delega. Non è giusto che il parroco
debba fare solo il coordinatore di organismi; egli deve piuttosto delegare in
modi diversi e certamente nei Sinodi - e qui in diocesi avete avuto il Sinodo
- si trova il modo per poter liberare sufficientemente il parroco, affinché da
una parte conservi la responsabilità di questa totalità dell'unità pastorale
affidatagli, ma non si riduca sostanzialmente e soprattutto il burocrate che
coordina, ma uno che tiene in mano i fili essenziali, ma ha poi dei collabora-
tori. Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del
Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il
parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti
dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato
sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in
questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia.
Direi quindi che - da una parte - questo coordinamento e questa respon-
sabilità vitale di tutta la parrocchia e - dall'altra parte - la vita sacramen-
tale e di annuncio come centro della vita parrocchiale potrebbero consentire
anche oggi, in circostanze certamente più difficili, di essere il parroco che non
conosce forse tutti per nome, come il Signore ci dice del Buon Pastore, ma
conosce realmente le sue pecorelle ed è realmente il pastore che le chiama e
che le guida.
Io ho l'ultima domanda e sarei molto tentato di metterla via, perché si tratta di
una domanda piccola e dopo nove volte che vostra Santità ha saputo trovare la
strada per parlarci di Dio e portarci molto molto in alto, mi pare quasi banale e
povero quello che sto per chiederle, ma ormai lo faccio. Si tratta di una parola per
quelli della mia generazione, per noi che ci siamo preparati durante gli anni del
Concilio, poi siamo partiti con entusiasmo e forse anche con la pretesa di cam-
biare il mondo, abbiamo anche lavorato tanto ed oggi siamo un po' in difficoltà,
perché stanchi, perché non si sono realizzati molti sogni ed anche perché ci
sentiamo un po' isolati. I più anziani ci dicono « Vedete che avevamo ragione
noi ad essere più prudenti » ed i giovani qualche volta ci trattano da « nostalgici
del Concilio ». La nostra domanda è questa: « Possiamo ancora portare un dono
alla nostra Chiesa, specialmente con quell'attaccamento alla gente che ci sembra
ci abbia contraddistinto? ». Ci aiuti a riprendere speranza e serenità...